5 (Cinque) - Recensione
Film considerato passabile
sulla base di 1 voto/i
5 (Cinque)
Drammatico
Trama
Manolo, Gianni, Luigi, Fabrizio ed Emiliano, cinque ragazzi della periferia di Roma, si conoscono all’interno di un riformatorio e stringono un’intensa amicizia, che si solidifica quando il giovane Emiliano subisce una terribile violenza prontamente vendicata dai suoi compagni. Una volta usciti dal riformatorio, i cinque ragazzi decidono di tentare il “grande colpo”: rapinare un portavalori.

L’attore Francesco Dominedò debutta dietro la macchina da presa firmando e dirigendo un film drammatico ambientato nelle periferie di Roma, “5 (Cinque)”. Il bislacco titolo si riferisce al numero dei giovani protagonisti di questa storia dai contorni cupi e violenti: Manolo (Matteo Branciamore), Gianni (Stefano Sammarco), Luigi (Christian Marazziti), Fabrizio (Alessandro Tersigni) ed Emiliano (Alessandro Borghi). Cinque ragazzi che, dopo essersi conosciuti in riformatorio ed aver stretto un patto di sangue giurandosi eterna amicizia, decidono di emergere dal sottobosco di micro-delinquenza in cui vivono per provare a diventare dei “veri criminali”.
Queste le premesse di una pellicola che, nonostante le buone intenzioni, fatica ad uscire dagli stereotipi del proprio genere di appartenenza, non riuscendo ad approfondire a sufficienza la personalità dei cinque rapinatori in erba che si muovono sul desolato scenario della periferia romana. Il risultato complessivo è un gangster-movie “all’amatriciana” che si sforza di riprodurre quell’immaginario cinematografico e quel taglio stilistico imposti da “Romanzo criminale” in letteratura, cinema e televisione, senza tuttavia alcuna speranza di reggere il confronto con il film di Michele Placido (e men che meno con l’omonima serie Tv) e limitandosi ad uno stanco accumulo di cliché ormai abusati (dai locali di lap-dance alla temibile Mafia russa, per non parlare di un dialetto romanesco che suona decisamente forzato).
Le impegnative tematiche al centro della storia (amicizia, ambizione, riscatto sociale, furia autodistruttiva) non trovano dunque un’adeguata possibilità di sviluppo all’interno di un racconto condotto in maniera fin troppo concitata, penalizzato per di più dalla fastidiosa presenza di una voce narrante quanto mai superflua, ed al quale non giova l’apporto di attori che non sempre sanno sostenere sulle proprie spalle il peso dei rispettivi ruoli.
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